Carabiniere ucciso a Roma. Il sentimento che prevale in circostanze come queste è la rabbia. Stare fermi a parlare è un oltraggio troppo grande verso le vite spezzate dei nostri eroi.

Un carabiniere, un giovane uomo di 35 anni, una vita piena di sogni e speranze è stata spazzata via da un omicida che senza scrupoli gli ha inferto sette coltellate e che fra le altre cose, lo ha fatto perché sa che non pagherà abbastanza. Un intervento in via Pietro Cossa a Roma, nei pressi di Piazza Risorgimento, si è tramutato in tragedia.
Il sentimento che prevale in circostanze come queste è la rabbia. Infatti chiedo scusa in anticipo se queste mie parole non saranno lucide o troppo ragionate, se non saranno politicamente correte o di circostanza, ma saranno parole spinte dalla dura constatazione che non importa niente a nessuno.
Oggi si vedranno lacrime e si stenderanno bandiere, si accenderanno ceri e si susseguiranno servizi televisivi ma domani e il giorno dopo ancora e fra una settimana, tutti dimenticheranno e il 26 luglio non sarà una data da ricordare, non si faranno comizi ne manifestazioni.
Piangiamo la morte di un nostro fratello, l’ennesimo, l’ennesimo esempio di chi per lavoro va incontro alla morte e lo fa con la semplicità e l’abnegazione che tanti uomini in divisa mostrano ogni giorno.
Siamo arrabbiati, arrabbiati con chi fa della sicurezza dei nostri operatori in divisa solo una questione politica, con chi è sempre pronto a puntarci il dito ma che dimentica che dietro quell’ìe uniformi ci sono figli, padri e madri, ci sono sogni. Tanta è la voglia di urlare, di urlare che queste sono tragedie annunciate, che abbiamo bisogno di mezzi, di uomini, di leggi che tutelino noi difensori del bene comune.
Non so se saranno i taser o le bodycam o se saranno leggi più severe ad arginare questa spirale di odio; so solo che stare fermi a parlare è un oltraggio troppo grande verso le vite spezzate dei nostri eroi.