OGGETTO: Riposi giornalieri del padre ai sensi dell’art. 40, comma 1, lett. c, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. — Consiglio di Stato, Adunanza plenaria,
sentenza 28 dicembre 2022, n. 17.

Pervengono da più parti quesiti sulla corretta applicazione dell’art. 40, comma 1,
lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 — che riconosce al padre lavoratore
la possibilità di fruire dei periodi di riposo di cui al precedente articolo 39 (c.d. “permessi
per allattamento”) ne/ caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente — con
particolare riferimento all’individuazione dell’esatta estensione di quest’ultima nozione;
segnatamente, se essa sia astrattamente riferibile a qualsiasi categoria di lavoratrice non
dipendente, e, quindi, anche alla donna che svolge attività lavorativa in ambito familiare
(c.d. casalinga), oppure solo alla lavoratrice. autonoma o libero-professionista.

In merito, si ritiene opportuno segnalare il recentissimo è autorevole orientamento
giurisprudenziale assunto dall’ Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, atteso che, sul
punto, si erano sviluppati, nel corso del tempo, diversi filoni interpretativi nell’ambito
dello stesso massimo Organo di giustizia amministrativa.

Infatti, un primo orientamento, inaugurato dalla sentenza del Consiglio di Stato,
Sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4293, aveva accolto un’interpretazione estensiva della
disposizione in esame, ricomprendendo nel suo alveo anche le ipotesi in cui la madre
prestava la propria attività lavorativa in ambito domestico, sulla considerazione che,
“essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della
casalinga come lavoratrice […], non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a
beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia
diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la
distolgano dalla cura del neonato” (indirizzo, peraltro, ribadito, anche a distanza di
tempo, con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 10 settembre 2014, n. 4618).

Una lettura diametralmente opposta della norma, tuttavia, era stata data a breve
distanza di tempo dalla I Sezione del Consiglio di Stato, in sede consultiva, con parere n.
2732/2009 del 22 ottobre 20091 , che aveva escluso la possibilità di ricondurre:alla nozione
di “non…lavoratrice dipendente” la c.d. casalinga, posto che “/a considerazione
dell’attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del
nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende, come è esperienza
consolidata, anche le cure parental?”; d’altronde, “l’autonomia di gestione del tempo di
attività nell’ambito familiare consente evidentemente alla madre di dedicare
l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”. Tale soluzione è
stata ribadita, in tempi più recenti, dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 4 marzo
2021, n. 1851.

Non sono mancati, negli anni, anche orientamenti maggiormente “sfumati”, che
hanno tentato di ricondurre ad unità le due precedenti posizioni, escludendo, in linea di
principio, il beneficio in argomento in favore del padre appartenente alle Forze di polizia
coniugato con una casalinga, salvo che quest’ultima “per specifiche, oggettive, concrete,
attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato” (Consiglio
di Stato, Sez. IV, 30-ottobre 2017, n. 4993; Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2018,
n. 628; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2018, n. 5686; Consiglio di Stato, Sez. II,
1° settembre 2021, n. 6172).

Orbene, come accennato ad inizio, alla luce di tali contrasti interpretativi, la
questione è stata deferita all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la quale, con
sentenza 28 dicembre 2022, n. 17, ha osservato che:

  • l’esercizio della funzione genitoriale tende, da un lato, alla piena
    realizzazione dei diritti del bambino ad’ottenere la migliore assistenza da parte
    dei genitori (nel caso di specie, nel primo. anno di vita), ma, da altro lato,
    costituisce anche espressione del diritto “proprio” dei genitori — e di ciascuno
    di essi — ad accompagnare la crescita del figlio, quale espressione della loro
    personalità”;
  • l’espressione letterale “ne/ caso în cui la madre non sia lavoratrice dipendente”
    non è suscettibile di interpretazioni riduttive, essendo prevista da una fonte
    primaria, in attuazione di norme costituzionali, “i che esclude la natura
    “eccezionale” della disposizione e la conseguente necessità di una sua
    interpretazione restrittiva”;
  • non vi sono ragioni per distinguere, sul piano qualitativo 0 quantitativo e con
    riferimento alla posizione genitoriale, il lavoro svolto nell’ambito
    “domestico” o “familiare” […] da quello svolto dalla donna in via
    subordinata, o in via autonoma, né, tantomeno, è possibile disconoscere il
    ‘Valore economico” dell’attività lavorativa domestica”, anche considerando
    che, per l’articolo 35 della Costituzione, “/a Repubblica tutela il lavoro in tutte
    le sue forme ed applicazioni”.

Conseguentemente, l’Alto Consesso ha enunciato il seguente principio di
diritto: “Z ‘articolo 40, comma 1, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001 , n. ISL
laddove prevede che i periodi di riposo di cui al precedente articolo 39 sono riconosciuti
al padre lavoratore dipendente del minore di anni uno, “nel caso in cui la madre non
sia lavoratrice dipendente”, intende riferirsi a qualsiasi categoria dì lavoratrici non
dipendenti, e quindi anche alla donna che svolge attività lavorativa in ambito familiare,
senza che sia necessario, a tal fine, che ella sia impegnata in attività che la distolgono
dalla cura del: neonato, ovvero sia affetta da infermità”.

Nel segnalare che la presente circolare è consultabile sul portale Doppiavela, si
confida nella consueta collaborazione delle SS.LL. al fine della corretta applicazione
della normativa in esame, alla luce dell’indirizzo espresso dalla massima istanza della
giustizia amministrativa.

1. Tale parere, reso su richiesta di questa Amministrazione, fu, poi, diramato con circolare dell’allora
Direzione centrale per le risorse umane n. 333.A/9807.F.6.1/9865-2009 del 17 dicembre 2009.

La circolare