Antonio Scolletta, presidente della FSP Polizia di Stato, interviene alla Camera dei Deputati – Sala del Mappamondo – durante l’audizione delle organizzazioni sindacali del Comparto sicurezza, da parte delle Commissioni I e II riunite, sul cosiddetto Decreto Sicurezza bis.

Commissioni riunite I e II – esame, in sede referente, del disegno di legge C.1913 recante “Conversione in legge del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica” -.

Audizione del 4 luglio 2019

A nome nostro e della Federazione tutta esprimiamo preliminarmente il nostro giudizio positivo sull’intero impianto del decreto legge 53/2019 che recepisce gran parte delle richieste da noi formulate negli ultimi anni ed interviene, in modo più efficace, su questioni dirimenti per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica nel nostro Paese.

Proprio perché siamo convinti che sia assolutamente necessario e non più procrastinabile un intervento sistemico in materie così delicate, riteniamo doveroso proporre le seguenti riflessioni e proposte.

  1. Il potere ministeriale di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale

Il potere discrezionale attribuito al Ministro dell’Interno dall’art. 1 del decreto legge 53/2019 può essere esercitato sulla base di parametri molto diversi tra loro (ordine e sicurezza pubblica) oppure alle condizioni previste dall’articolo 19, comma 2, lettera g) della Convenzione di Montego Bay. Queste ultime, come noto, presuppongono una violazione di leggi o regolamenti il cui accertamento, particolarmente se si tratti di violazione di norme penali, spetterebbe alla magistratura ordinaria con la conseguente possibilità di sconfinamenti e conflitti col potere giudiziario.

Si consideri inoltre che il potere in esame va esercitato nel rispetto degli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese.

Si ricordano tra questi, ma senza pretesa di completezza: l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra per il quale “Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”; l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che pone tra l’altro il divieto di allontanare, espellere o estradare individui verso Stati in cui esiste un rischio serio di essere sottoposti alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti; l’articolo 98 della Convenzione di Montego Bay che impone agli Stati di predisporre un servizio adeguato di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e di esigere dai comandanti della navi che battono la loro bandiera di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizione di pericolo; la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimi adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 (cosiddetta Convenzione SAR) che prevede la ripartizione delle zone SAR (search and rescue) tra gli Stati interessati e il loro obbligo di intervenire ove abbiano notizia della presenza nella zona marittima di loro competenza di esseri umani in pericolo di vita, di recuperarli e di fornire loro un luogo sicuro di sbarco (place of safety); la convenzione di Londra del 1 novembre 1974, ratificata con legge 313 del 1980.

Per meglio armonizzare la legge di conversione del decreto legge in questione ed evitare che la presenza di un espresso riferimento al necessario “rispetto degli obblighi internazionali” offra il fianco ad un eventuale sindacato per violazione di legge in ambito giurisprudenziale, sarebbe auspicabile :

a) eliminare in nuce la possibilità che l’esercizio del potere discrezionale di cui all’art. 1 possa incorrere in violazioni delle norme di diritto internazionale elencate, laddove venga esercitato in occasione di missioni umanitarie;

b) risolvere il problema della corretta applicazione del provvedimento interministeriale nel caso in cui non si sia addivenuti, in modo certo ed univoco, all’individuazione di un “porto sicuro”;

c) individuare nel corpo della norma le specifiche condizioni che escludano la possibilità di invocare determinate cause di esclusione del reato da parte dei soccorritori.

A tale ultimo riguardo si potrebbe far tesoro di talune pronunce della giurisdizione penale interna e della stessa Corte di Cassazione che ha ripetutamente affermato che, sussiste la giurisdizione del giudice italiano a carico dei “trafficanti di essere umani”, relativamente al delitto di trasporto e procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari nell’ipotesi in cui i migranti, provenienti dall’estero a bordo di navi “madre”, siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l’intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poiché la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità, è riconducibile alla figura dell’autore mediato di cui all’art. 54, comma 3, c.p., in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti, e si lega senza soluzione di continuità alle azioni poste in essere in ambito extraterritoriale (Cass. pen., Sez. I, 8 aprile 2015, n. 20503).

Date le premesse ci sembra superabile ogni possibile resistenza circa la compatibilità con l’ordinamento interno ed europeo e con le cennate convenzioni internazionali, di una norma di legge che escluda la possibilità di invocare l’esimente dello stato di necessità o dell’adempimento del dovere, nel caso in cui i soccorritori abbiano coscientemente operato la ricerca e il soccorso lungo rotte e/o in tratti di mare, magari elencati in apposito provvedimento interministeriale direttamente discendente dalla medesima norma di legge, “notoriamente” utilizzati dai trafficanti di esseri umani che, come noto, predeterminano lo stato di pericolo nella piena consapevolezza di “poter contare” sulla presenza di soccorritori lungo le medesime rotte e/ tratti di mare, usualmente utilizzate per giungere in acque internazionali più o meno prossime a quelle italiane.

  1. Le sanzioni amministrative previste per la violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane

Ci permettiamo di sollevare qualche perplessità circa la clausola di salvezza inserita nell’articolo 2 del d.l. “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato”, la quale sembrerebbe consentire la coesistenza delle sanzioni penali e di quelle amministrative.

Al riguardo, laddove queste ultime, sulla base dei criteri di identificazione della “materia penale”  formulati dalla Corte di Strasburgo, fossero considerate sostanzialmente penali per via della loro consistente portata afflittiva, ci ritroveremmo ad affrontare il problema del possibile conflitto con il divieto di bis in idem, previsto sia dalla legislazione interna (art. 649 c.p.p.) che di rango europeo (art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 4 Prot. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

Se a ciò aggiungiamo che la sanzione amministrativa prevista dal “decreto legge” in parola va da un minimo di 10 mila a un massimo di 50 mila euro e che, di contro, quelle previste dall’art. 10 della legge 689/1988 vanno da un minimo di 10 euro ad un massimo di 15 mila euro, la possibilità che le prime possano essere qualificate come “penali” diventa purtroppo concreta.

La conseguenza più diretta, quindi, potrebbe essere che, una volta definito il primo procedimento (penale o amministrativo), non sarebbe più possibile far luogo al secondo ancora in corso o non ancora iniziato.

Al riguardo sarebbe auspicabile che la legge di conversione del d.l. 53/2019 facesse proprie, nei modi e nella misura necessari, le indicazioni già fornite dalla Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 20 marzo 2018 la quale ha statuito che, fermi restando i presupposti dell’identità del fatto storico e della natura sostanzialmente penale delle sanzioni – spetta al giudice stabilire se ci si trovi, o meno, in presenza di un bis in idem, valutando se i procedimenti in questione presentino, avendo riguardo alle peculiarità dei casi di specie, una “ connessione sufficientemente stretta nella sostanza e nel tempo”. Tale indicazione sembrerebbe suggerire l’opportunità di definire quantomeno i tempi (ravvicinati) di definizione di entrambi i procedimenti.

Si consideri, inoltre, che dal tenore letterale dell’inciso “ove possibile” si desume che la sanzione amministrativa da 10 mila a 50 mila euro possa essere irrogata all’armatore e al

proprietario della nave anche quando non sia stato possibile notificare loro il citato provvedimento interministeriale di divieto di transito, ingresso o sosta in acque territoriali.

Al riguardo si fa notare che tale previsione sembrerebbe in contrasto con l’art. 3 della legge 689/81 che, com’è noto, richiede espressamente che l’azione o l’omissione, sia essa colposa che dolosa,  dalla quale discende la sanzione amministrativa, sia commessa con coscienza e volontà: circostanza che non pare realizzarsi nel caso di omessa notificazione del citato provvedimento ministeriale “congiunto”.

  1. Rigore sanzionatorio e DASPO

Il d.l. 53/2019 crea nuove fattispecie incriminatrici e nuove aggravanti e aumenta la pena per talune fattispecie già esistenti.

Riteniamo che tale impianto sia assolutamente necessario per una più idonea difesa sociale e per tutelare adeguatamente gli operatori di polizia chiamati ad assicurarla.

Lo stesso dicasi per la misura preventiva del divieto di accesso alle manifestazioni sportive (meglio conosciuta come DASPO): anche in questo caso, l’allargamento dell’ambito applicativo e l’aumento consistente della durata (che viene portata nel massimo a dieci anni) e, da ultimo, la possibilità di applicazione congiunta del DASPO e dell’avviso orale, vanno considerati strumenti di dissuasione non derogabili e quindi da confermare in sede di conversione del decreto legge.

A proposito di contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive urge, a nostro avviso, la necessità di distinguere in maniera netta i comportamenti “genericamente” violenti, per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, da quelli, più specifici, che si concretizzano in atti di violenza o resistenza esercitata contro gli operatori di polizia. A tal fine riteniamo plausibile una diversa modulazione del DASPO con la previsione di un

ulteriore inasprimento della misura a carico di coloro che si rendono responsabili di violenza nei confronti delle forze dell’ordine.

La previsione normativa che ci permettiamo di suggerire a completamento delle fattispecie già previste dalla legge 401/89 e s.m.i., potrebbe essere è la seguente:

Chiunque abbia posto in essere comportamenti violenti in ambito sportivo o comunque riferibili ad eventi sportivi, contro appartenenti alle forze dell’ordine o al personale addetto al servizio di accoglienza (steward), è sottoposto dal questore competente territorialmente nel luogo ove è stata commessa la violazione, alla misura amministrativa del divieto di accesso da OGNI manifestazione sportiva per un periodo NON inferiore a 10 anni.

Lo scopo della norma proposta è duplice: punire più severamente chi aggredisce le forze dell’ordine ed evitare, com’è accaduto, che ultrà sottoposti al DASPO limitatamente alla specifica disciplina sportiva (calcio) possano tranquillamente e impunemente continuare a svolgere le loro attività illecite nel corso di manifestazioni relative ad altre discipline (basket o calcio a 5), diverse da quella per la quale è stato disposto il DASPO.

Roma, 4 luglio 2019

Il comunicato