Lettera del 15 luglio scorso inviata dal Segretario Generale, Valter Mazzetti, al Prefetto, Alessandro Pansa, sui numerosi suicidi nella Polizia di Stato. A seguire la risposta del Dipartimento:

Preg.mo Capo della Polizia,
come sicuramente a Sua conoscenza, poche ore fa è scomparso ancora un altro collega, ancora una giovane vita che ha deciso di spegnersi da sola e di autoestinguersi. In un breve lasso di tempo sono ben quattro i Poliziotti che hanno deciso di togliersi la vita, una ventina dall’inizio dell’anno, due a poche ore di distanza, un fenomeno che purtroppo non vede una fine e che non deve e non può lasciare indifferenti.
Non può lasciare ancor più indifferente un’Amministrazione che nel proprio DNA ha la salvaguardia della vita altrui.
Sullo sfondo delle vicende individuali e sulle complesse dinamiche che hanno contrassegnato la vita di questi colleghi, vi sono vicende umane e una serie di sofferenze personali da vagliare con cura ed attenzione.
Ciò nonostante, bisogna considerare che le scienze umane tendono oggi a studiare il suicidio come un fenomeno molto complesso, in cui intervengono fattori biologici e psicologici oltre che sociali.
L’atto, ad esempio, è spesso preceduto da stati di depressione profonda, da cause legate alla personalità o alle circostanze, che possono riguardare il bisogno di sfuggire a situazioni intollerabili e dalla visione della vita come una inesorabile fonte di sofferenza che solo la morte può placare.

Spesso sono questi i sentimenti che emergono più frequentemente dai messaggi lasciati dai suicidi. Tra i tanti interrogativi che tormentano il pensiero di molti colleghi, tuttavia, emerge con forza un dato che trova tutti concordi: è troppo difficile, oggi, denunciare il proprio profondo stato di malessere all’interno dell’Amministrazione.

Per molti sono troppo penalizzanti le conseguenze per chi decide di dichiarare la propria sofferenza interiore, sia sul piano economico che sul piano professionale. Spesso, ad esempio, chi è gravato da oneri economici importanti ed ha il proprio reddito legato in modo rilevante alle indennità vede nell’aspettativa per motivi di salute psichica alla quale viene obbligatoriamente sottoposto, un ulteriore motivo per non dichiarare la propria sofferenza, tacendola e, così facendo, acuire ancor più quella situazione di profondo disagio e sbandamento mentale. Prevale l’idea di una visione punitiva delle norme che regolano l’idoneità psichica al servizio e la diffidenza ad aprirsi verso l’Amministrazione, vista come un soggetto che applica le norme più per tutelare se stessa che i dipendenti; un rapporto di diffidenza che chi svolge attività sindacale tocca con mano tutti i giorni.

La tutela della salute, ma soprattutto della vita del personale, sotto ogni aspetto, non deve solo essere mera enunciazione di principio, ma essere anche percepita come il motivo ispiratore delle azioni dell’Amministrazione che, altrimenti, vedrebbe proclamato il fallimento di ogni sua azione di gestione. Per questi motivi, nella convinzione che anche a Lei non stia bene lasciare le cose come stanno, dichiarando, di fatto, il fallimento dell’Amministrazione nell’affrontare e individuare la migliore salvaguardia possibile della salute mentale e fisica del proprio personale, sono a chiederLe di voler predisporre un sereno confronto con le OO.SS..

Siamo fermamente convinti, infatti, che occorra un cambio di passo, un nuovo modo di concepire il rapporto con il personale, una diversa attenzione verso la sofferenza delle persone che l’ambiente professionale può contenere o amplificare ma, soprattutto, un’idea diversa che il personale tutto deve avere nei confronti dell’Amministrazione, un’idea che vorremmo costruire insieme, se occorre, anche attraverso la revisione dei modelli regolamentari. E se riusciremo a salvare una sola vita di un collega strappandola al mostro della depressione, potremo dire tutti di non aver fallito.
In attesa di un riscontro alla presente, Le porgo distinti saluti.

Il Segretario Generale Valter Mazzetti

La risposta del Dipartimento