COMUNICATO STAMPA
Grosseto, condanna del poliziotto per omicidio colposo: in assenza di protocolli operativi e leggi chiare, saremo sempre troppo esposti ai soggettivi convincimenti dei Giudici.
A seguito della recente condanna inflitta ad un nostro collega in servizio alle volanti di Grosseto – dichiara il Segretario regionale della Toscana Ugl Polizia di Stato, Mauro Marruganti – relativa a fatti accaduti nel comune di Pari (GR) quattro anni orsono, esprimiamo piena solidarietà e vicinanza al collega ed alla sua famiglia. In attesa di leggere le motivazioni e di capire quali siano gli elementi che hanno convinto il Giudice in tal senso – prosegue Marruganti – osserviamo che il poliziotto, nell’ambito dei suoi doveri ed a seguito di superiori disposizioni, procedeva al blocco di un’autovettura condotta da un cittadino albanese con a bordo un suo connazionale, sospettati di essere trafficanti di stupefacenti. L’autovettura che in effetti trasportava ben 10 kg di droga, però, visti gli agenti, invece di fermare la sua marcia, proseguiva investendo lo stesso poliziotto ed un altro collega con il chiaro intento di assicurarsi l’impunità sfuggendo al controllo rispetto al grave reato che si stava compiendo. Nello svolgersi dei fatti il poliziotto in questione riportava la frattura di una gamba e, durante le fasi del suo investimento, esplode va, in maniera non volontaria, dei colpi di arma da fuoco che attingendo mortalmente il conducente dell’autovettura. Il passeggero, per sottrarsi all’arresto, si dava alla fuga facendo perdere, al momento, le sue tracce. Una incredibile vicenda – continua il Segretario regionale – che si è conclusa con la sconfitta delle istituzioni e che fa ritenere, noi uomini e donne della Polizia di Stato, sempre orfani di questa Italia. Noi – conclude Mauro Marruganti – saremo sempre vicini, con ogni mezzo, al nostro collega che è sempre stato e resta una persona assolutamente perbene, un padre di famiglia ed un onesto servitore dello Stato.
A questo punto, quello che maggiormente ci preoccupa e inquieta ogni appartenente alle forze dell’ordine – afferma il Segretario generale Valter Mazzetti – è che in assenza di regole certe, protocolli operativi e leggi chiare, qualsivoglia procuratore di questa Repubblica, dal caldo della sua comoda poltrona in pelle, ben potrà discettare di ‘norme di sicurezza’ inesistenti (basate unicamente sull’esperienza personale e professionale di ogni operatore) e basare le motivazioni del proprio convincimento su ciò che egli stesso, non a caldo e nella concitazione del momento, a mente fredda, ritiene che sarebbe dovuto essere un comportamento ‘prudenziale’. Il punto, però – conclude Mazzetti – è che il lavoro reale di un poliziotto che opera per strada, in certe situazioni cosi rischiose ed emergenziali in cui non si ha il tempo di riflettere e consultare un ufficio legale, non è un videogioco che può farsi comodi in patofole sul divano di casa e certe esperienze, per poter essere giudicate serenamente e con completezza d’insieme, andrebbero prima vissute. Ma questo, purtroppo, è un onere riservato solo gli operatori della sicurezza. Per questo noi comprendiamo e amaramente rispettiamo le sentenze di questa natura, anche se, non ce ne vogliano i Giudici e ciò preposti, non le condividiamo.
CRONACA DEI FATTI GIUDIZIARI
GROSSETO. Il giudice dell’udienza preliminare ha condannato a 10 mesi il poliziotto che nella notte tra il 20 e il 21 giugno 2012 esplose il colpo di pistola che raggiunse e uccise un 25 enne originario dell’Albania, sulla Senese, a un posto di blocco, mentre viaggiava su una Golf con il cugino e un carico di droga.
Dieci mesi all’assistente capo per omicidio colposo – questa l’ipotesi formulata dalla Procura – al termine del rito abbreviato.
L’udienza si è svolta in camera di consiglio. Il sostituto procuratore ha parlato più di mezz’ora, ritenendo sussistenti tutti gli elementi per configurare una colpa in quell’episodio. Il pm è del parere che l’agente abbia tenuto la pistola Beretta 92sb «in condizioni non sicure», cioè con il colpo in canna e il cane abbassato pronto per lo sparo.
Di tutt’altro avviso il difensore, convinto sin dal primo minuto dell’innocenza del poliziotto, sotto ogni punto di vista. Per oltre un’ora e mezzo la difesa ha sostenuto le ragioni dell’estraneità dalle accuse. Ricordando che l’assistente da sempre porta la Beretta con il colpo in canna e il cane abbassato predisposto per lo sparo in doppia azione. Da sempre, come è raccomandato dagli istruttori (non ci sono direttive ministeriali in proposito) che sconsigliano di intervenire con la pistola nella fondina e con il meccanismo di sicurezza inserito. La difesa ha sostenuto anche che o l’evento non era prevedibile o, se lo era, era lecito che gli agenti impugnassero un’arma. Chi intervenne non indossò il giubbetto antiproiettile per garantirsi maggiore abilità nei movimenti in una situazione potenzialmente pericolosa. E se non usò il potente mitra M12 fu solo per evitare situazioni di rischio maggiori. L’agente non cadde ma ruotò su di sé ed entrò in contatto con l’auto (forse anche lo specchietto) attraverso l’avambraccio sinistro e il ginocchio sinistro: lo sparo fu una conseguenza dell’autodifesa e di un movimento involontario.
Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni. Poi la difesa potrà proporre appello.
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