SONO SOLO FANTASIE, NON TORTURE

Che Amnesty International si occupi delle gravi violazioni dei diritti umani ed intervenga per porvi fine è attività certamente nobile, ma che punti i riflettori su maltrattamenti o torture che risultano il prodotto di fantasie raccolte da qualche scriteriato delatore senza ricevere riscontri è altra cosa ed è tutt’altro che decoroso! È in questo secondo contesto che siamo costretti ad inquadrare l’improvvida accusa che Matteo DE BELLIS, rappresentante della Sezione italiana di Amnesty, ha mosso in modo franco contro i nostri poliziotti, impegnati, presso i numerosi hotspot istituiti sul territorio, a gestire le primissime fasi di arrivo in Italia delle migliaia di immigrati provenienti dalle coste sudafricane. È un attacco di cui non comprendiamo la reale finalità. Pubblicità? Dare un segno della loro esistenza? Forse, ma, se così fosse, sarebbe “gloria” della più grama, della più volgare! Ciò di cui siamo sicuri è che il DE BELLIS lo ha fatto nel peggiore dei modi, ipotizzando radicalmente vere e proprie torture che i colleghi avrebbero inflitto ai malcapitati migranti, con l’uso di fantasiosi e inesistenti manganelli elettrici, ricorrendo ad umiliazioni sessuali o, ancora, alle percosse; lo ha fatto citando le testimonianze di una ventina di ipotetiche vittime di paventati linciaggi, che, nemmeno a dirlo, non hanno un nome, lo ha fatto immaginando congiure e congetture europee, delle quali sembra essere l’unico conoscitore. Lo ha fatto cercando di strumentalizzare l’informazione, ricorrendo a testate giornalistiche di grossa caratura, IL TEMPO e IL MESSAGGERO, che, però, hanno onorato il diritto di cronaca, dando contemporaneamente atto delle puntuali smentite istituzionali che immediatamente sono giunte a tanta dichiarata falsità. Insomma, lo ha fatto perdendo una buona occasione per tacere!

E’ troppo facile e troppo comodo gettare secchiate di fango, senza assumerne alcuna responsabilità, su migliaia di donne e di uomini in divisa che quotidianamente, e loro sì in condizioni spesso molto disagiate, si prodigano per il bene della collettività. Non sappiamo se Amnesty avesse in animo di avere i suoi 5 minuti di visibilità su un tema così attuale come il fenomeno dell’immigrazione, riteniamo però che sia vergognoso infangare così un Istituzione intera e non presentare una denuncia nelle Procure. Se qualcuno ritiene che ci siano state delle nefandezze, dopo averne accertato l’esistenza, si assuma la responsabilità delle proprie infamanti accuse e formalizzi una denuncia. Perché certe cose, se si ritengono vere, è lì che vanno perseguite e non sulle pagine dei giornali dove non c’è alcun bisogno di portare riscontri.
Cara Amnesty, il danno alla immagine e alla professionalità di migliaia di donne e uomini in uniforme ormai è stato ottenuto, chi pagherà ora per questa violazione di un diritto del quale voi vi ergete tanto a tutori?

Chi risarcirà ora il diritto alla onorabilità, alla professionalità a non vedersi vigliaccamente diffamati di tutti quei poliziotti che voi avete infangato?
Forse per voi i diritti dei lavoratori di polizia non hanno pari dignità dei diritti di altri esseri umani e questo, ci spiace, al di là delle vostre convinzioni morali, fa di voi solamente dei classisti ideologicamente e culturalmente indirizzati.

La nostra ferma censura alle false e tendenziose denunce di Amnesty si aggiunga, dunque, a quelle già espresse dal Capo della Polizia, Prefetto Gabrielli, e dal Capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, Prefetto MORCONE. Bene ha fatto, inoltre, la Commissione europea, in persona di Natasha BERTAUD, a screditare in modo assoluto le dichiarazioni del DE BELLIS, che, ci preme sottolinearlo, tira in causa anche le Autorità precostituite ai rimpatri, stigmatizzando l’avvenuta adozione di provvedimenti di espulsione illegali.

C’è un aspetto, tuttavia, che il nostro detrattore mette in luce nella sua farneticante denuncia, un aspetto che ci riguarda molto da vicino, per averlo noi affrontato in sede istituzionale: quello della mancanza di strumenti normativi chiari e di protocolli operativi ufficiali che consentano agli operatori di polizia addetti al fotosegnalamento di poter compiere quelle operazioni finalizzate all’identificazione di chi si sottrae a tale procedura, opponendosi attivamente o anche rendendosi non collaborativo e assumendo, quindi, solo atteggiamenti passivi.  

A questo riguardo, Amnesty riporta, a sostegno della sua “crociata”, le testimonianze “coerenti e concordanti” di sedicenti martiri che affermano di aver subito coercizioni fisiche fino allo sfinimento, per essere poi sottoposti all’acquisizione delle impronte digitali. Premesso che, anche in questo caso, nulla è risultato vero, la nostra posizione su tale questione, rimane coerente con l’assunto sopra declinato. Secondo noi, la Polizia, non potendo oggi attingere a norme che le permettono di svolgere la delicata e obbligata attività d’identificazione, almeno non nei casi appena rappresentati e ad esclusione di quelli espressamente indicati al comma 2 bis dell’art. 349 del C.P.P., ha bisogno di regole certe e di direttive dipartimentali incontrovertibili che offrano ai fotosegnalatori condizioni di operatività piena, prestata nella totale garanzia degli atti compiuti, proprio al fine di tutelarsi da sconclusionate quanto infamanti denunce.

Mosso, quindi, da una parzialità di vedute e avvalendosi del risultato di un’indagine pretestuosa, sarà riuscito molto facile al Solone di turno giudicare l’ingiudicabile ed assurgere alla dignità di difensore dei diritti umani, che, per quel che ci riguarda e per come è stato ampiamente provato, sono sempre stati giustamente e sentitamente rispettati! Così come ci sembra ci sembra altrettanto incredibile la posizione di quegli intellettuali come Furio Colombo che, invertendo l’onere della prova, si chiedono se “siamo sicuri che Amnesty menta?”.                

A chi, in ultimo, possa nutrire dubbi su quanto alti siano l’attaccamento al proprio compito ed i sentimenti che muovono la vita di ogni poliziotto, vogliamo rispondere col messaggio di un collega, appena ricevuto, che garantiamo autentico e riportiamo integralmente: “Lavoro al Reparto Mobile di … ed attualmente sono presso l’hotspot di … Io ed i miei compagni, tutti i giorni, torturiamo queste persone, portando giocattoli ai bambini o regalando loro semplicemente un sorriso. Amnesty International credo abbia esagerato, noi non meritiamo questo”!

Roma, 5 novembre 2016

                                                                                               LA SEGRETERIA NAZIONALE

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